Inedito. Dalla caverna dei tre filosofi si materializza l’autoritratto di Giorgione

Giorgione concepì i Tre filosofi non solo per una visione ravvicinata. Ma ne predispose il funzionamento espressivo, anche da un punto distante. Quella delle criptofigure che vengono alla luce, con massima messa a fuoco, a una decina di metri dal quadro è una nuova frontiera nell’ambito della storia della pittura del Cinquecento e del Seicento poichè offre nuovi strati da studiare, all’interno dei quali alcuni artisti inserivano, attraverso anamorfosi prospettiche o frontali, immagini visibili soltanto da un punto distante. O, ancora, immagini ambigue.

La scoperta sull’uso diffuso delle criptofigure nell’arte del Cinquecento e del Seicento e l’anticipazione di ciò che emerge da un dipinto di Giorgione è firmata da Maurizio Bernardelli Curuz, nell’ambito di un progetto molto ampio che lo vede fondatore di questa nuova branca della storia dell’arte, accanto al collega Roberto Manescalchi. Due i dipartimenti di ricerca, creati all’interno di Stile arte. L’indagine delle criptofigure leonardiane e della scuola toscana e centro-italica è coordinata da Manescalchi, mentre Bernardelli Curuz dirige le ricerche sui dipinti degli artisti lombardo- veneti ed emiliani. Le criptofigure non solo aprono nuove prospettive di lettura dei dipinti, ma contengono spesso autoritratti degli autori,  date, segni alfabetici e altri elementi preziosi che, fino ad oggi, non sono stati evidenziati  e che completano il significato dell’opera, fornendo importanti elementi di autografia. Le indagini sono state estese dai due studiosi anche alle cripto-figure o agli elementi di firma di pochi centimetri, che necessitano di una visione ravvicinata.

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