Il Veronese rischiò la morte per l’Ultima cena. Giullari, gozzoviglie e un pene enorme… A processo

Un nuovo articolo per Stile Arte di Roberto Manescalchi

28 luglio 2018

L’attenta osservazione di un dipinto del Veronese da parte di Roberto Manescalchi porta alla luce, collegato al clima dell’inchiesta che gli inquisitori aprirono a carico del pittore, un enorme pene umano dipinto tra le gambe del cane, che appare nella scena, in buona evidenza. Cane cazzone? Domeni-cane cazzone? I domenicani erano considerati i cani della fede, cioè i difensori strenui dell’ortodossia.L’episodio sul quale si fa luce svela un possibile intrigo. Perchè Veronese realizzò un’Ultima Cena affollatissima, piena di ubriachi, nani, tedeschi? Osservandola anche oggi appare subito come un’opera assolutamente eretica, considerato ciò che imponeva l’arte riformata: il pieno rispetto delle verità evangeliche, senza aggiunte immaginarie. Quindi fu cambiato il titolo del dipinto, che venne denominato Cena in casa di Levi. Ma il pene del cane passò forse inosservato. Veronese, considerati gli scontri tra i domenicani – clero di emanazione papale – e la Serenissima si prese gioco dei potenti frati, con qualche avallo governativo? Certo che anche il cane a tre zampe – e pertanto zoppo – presente in un altro dipinto potrebbe indicare, sottotraccia, il giudizio grottesco del Veronese sulla politica giudiziarista e liberticida imposta dal pontefice negli Stati stranieri, attraverso la presenza assillante dai domenicani.

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