Modigliani: L’ultimo disegno per Jeanne?

Il nuovo libro di Roberto manescalchi e Mauro Nutricati.

 

Testo in italiano, English, Français

Vino e lussuria di pietro aretino

Nato di umili origini Pietro Aretino… letteralmente “figliol di troia”, si dice un po’ in tutta la Toscana e più precisamente nella sua natia Arezzo, fu anche “bastardo” stante che la meretrice sembra ignorasse chi ne fosse il padre.

Anton Francesco Doni lo dichiarava figlio di un padre «del terzo ordine» e di una madre «pinzochera, nato come dire quasi di monaca et di frate». Ancor più esplicita una anonima biografia circolante ancora lui vivente che recita: «di madre schiavona et putana».

Fin qui le malelingue e i detrattori. Certo è che dalla sua città, ancora adolescente, venne presto cacciato e/o se ne dovette andare a motivo della composizione di un sonetto contro la vendita delle indulgenze. Questo almeno secondo alcuni.

 

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Vite e humus della vita.

Non so e non ho la benché minima voglia di controllare se vite e vita hanno un qualche cosa che etimologicamente le unisce… magari poi si scopre che tra i due termini, malgrado l’assonanza onomatopeica, non c’è alcun nesso.

Mi sovviene la madrevite con cui si intende di solito un cilindro forato e filettato atto a ricevere una vite che in detto filetto si impana e il tralcio di vite attorcigliato su se stesso che, in qualche modo, alla meccanica rimanda o, forse, ha proprio dato origine e spunto all’idea di detta meccanica.

Madrevite è altresì una delle più rinomate cantine situate tra Umbria e Toscana nei pressi del Trasimeno, ma non ci interessa ora alcun tipo di pubblicità.

La nostra attenzione è focalizzata sul madre anteposto a vite e sul fatto che madre sia certamente significante di vita senza alcun dubbio. Ma che una cantina si chiami madrevite è in se poca cosa.

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Le parti combaciano. Ecco l’Annunciazione, una ritrovata opera di Piero della Francesca

Ci sono giorni che sarebbero da cancellare. Avete presente quando l’uggia, la noia e fuori la pioggia sembrano aver voglia di non cessare mai? Che cosa si può fare per ingannare il tempo? Navigare per qualche minuto tra le foto in bianco e nero della Fondazione Zeri è una delle opzioni. Pochissimo tempo e abitualmente ci stanchiamo. Le foto sono tutte in bianco e nero e non è vero, come sosteneva Federico, che siano migliori di quelle a colori per vedere le cose. Lui le aveva raccolte così e, secondo noi, di necessità virtù. A Pagina 3 di 8, sono su Piero della Francesca – provo a vedere se in qualche vecchia foto trovo la prova di qualche misfatto operato con restauri più o meno recenti – leggo: Pietro di Benedetto dei Franceschi Maria Vergine Annunciata (Fot.1) e subito sotto: Pietro di Benedetto dei Franceschi Angelo annunciante Fot.2).

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Modigliani veri o falsi? L’occhio infallibile di Carlo Pepi. Ecco perchè spara meglio di Buffalo Bill

“…Come sai sui disegni nessuno si azzarda a dare pareri perché poi, quando il giudizio è delegato al tribunale, spesso e volentieri, va a finire che risultano autentici anche i falsi… Comunque questo è falso come il buco del culo!”

Così sentenziava, senza se e senza ma, un mio amico livornese, modiglianista prezioso e di lungo corso a proposito di un disegno, presunto tale, di Modigliani recentemente in asta di cui gli avevo mostrato la foto (il disegno era in asta e poi fu ritirato). Io non disdegno la frequentazione dei “portuali” – si fa per dire – livornesi che trovo arguti, intelligenti, caustici, sinceri e, soprattutto, definitivi. I livornesi sono come il mare che fa vittime perché è di tutti, ma non per tutti. E questo incipit – a testimonianza della difficoltà di valutazione di un disegno e o dipinto – è il motivo guida di tutto questa seconda parte del mio saggio dedicato a Modigliani e Carlo Pepi.

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Modigliani da bere. Commerci, studi, smerci, liquori, film e polemiche artistiche al mercato dell’Est

“…Alla fiera dell’est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E infine il Signore, sull’angelo della morte, sul macellaio
Che uccise il toro, che bevve l’acqua, che spense il fuoco
Che bruciò il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto
Che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò”
Angelo Branduardi

In ebraico era un brano ispirato alla narrazione della Pasqua e racconta di un capretto che ricorda l’agnello con il cui sangue gli israeliti marchiarono le loro porte per salvare i loro primogeniti dallo sterminio. Il brano, infatti, sembra essere liberamente ispirato al canto pasquale ebraico del Chad Gadya. Un testo che viene recitato al termine della Haggadah shel Pesach (Narrazione della Pasqua) durante la cena pasquale.

Il Signore disse a Mosè e ad Aronne in terra d’Egitto: “…Il sangue sulle case dove vi troverete servirà da segno in vostro favore: io vedrò il sangue e passerò oltre; non vi sarà tra voi flagello di sterminio quando io colpirò la terra d’Egitto”. (Es 12,1-17.29-34)…

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Un passo avanti! Ingegnere sovrappone il David di Michelangelo a una statua antica e scopre che…

Strano, insolito e desueto pare, in apparenza, questo articolo di Giovanni Cangi che vi sto presentando. Qui si mischiano, per altro con inusuale competenza, sapienza di discipline che credo difficilmente siano mai state accostate tra di loro. In un mondo di estrema specializzazione sembra di essere tornati alle origini e o alle enormi anticipazioni della sommatoria di competenze precipua degli artefici del primo Rinascimento.

Ho attraversato, camminando, tutti i giorni per anni, piazza Signoria in Firenze…

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Bilancio dell’anno leonardiano, tra uccelli e grande nibbio, bolle speculative e nuove strade di ricerca

Credo che Leonardo sia famoso, nell’immaginario collettivo, per aver provato, prima di chiunque altro, a dare corpo e senso al sogno dell’uomo di potersi librare in volo come gli uccelli. Dal mito classico di  Icaro che comunque è destinato irrimediabilmente a cadere all’uomo che finalmente può decollare, volare ed atterrare il passo non è stato né corto né facile, ma dopo Leonardo tutto è stato certamente diverso.

“Questo scriver si distintamente del nibbio par che sia mio destino, perché nella prima ricordazione  della mia infanzia e mi parea che, essendo io in culla, un nibbio venissi a me e mi aprissi la bocca colla sua coda e molte volte mi percuotessi con tal coda dentro le labbra.”

(Codice Atlantico, foglio 186v)

Come tutti, o quasi, sanno questo appunto di Leonardo diede luogo nel 1910 ad una masturbazione mentale del padre della psicoanalisi Sigismund Schlomo Freud (più noto come Sigmund Freud) che scrisse il famosissimo saggio: “Eine Kindheitserinnerung des Leonardo da Vinci”  (ricordo d’infanzia di Leonardo). Già prima del saggio il trapanacervelli austriaco la sera del 17 ottobre 1909 in una lettera all’amico e collega Carl Gustav Jung scrisse: “Da quando sono tornato (dall’America e il luogo è significativo) ho avuto un idea. Il mistero del carattere di Leonardo mi è divenuto improvvisamente trasparente.” (Sic!) Ovviamente abbiamo letto il saggio una quarantina (abbondante) d’anni fa. Da allora continuiamo a non condividere niente di quanto c’è scritto e da allora un dubbio amletico ci affligge: non aveva capito niente lui (Freud) o non capiamo un cazzo noi che dopo cinquant’anni di studio… della mente di Leonardo non sappiamo ancora niente e niente abbiamo compreso? Sappiamo solo che non ci siamo stesi mai in un lettino. Neanche quello della massaggiatrice… minimo letto alla francese e, possibilmente, con una bella donna… fate voi!

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Cavolate, cavoletti e querce. Cosa resta – in mostre e studi – dell’anniversario di Leonardo?

In conclusione dell’anno del 500° anniversario della morte di Leonardo da Vinci, ci corre l’obbligo (questa rivista è da sempre una sorta di enciclopedia su Leonardo e la sua opera) di un sunto su quanto la “cultura” ha proposto e prodotto in fatto di studi e di mostre. Delle innumerevoli fake news comparse a riguardo del genio e della enorme quantità di improbabili attribuzione e aggiunte alla sua opera non ci va di trattare per più che ovvi motivi. Idem per le mostriciattole sparse in ogni dove dall’ultimo dei supermercati al più piccolo dei musei locali. Unica eccezione Anghiari. Perché il primo in ordine alfabetico, perché è il nostro paese e non possiamo sottacere. Poi, prima ancora, molto prima che nostro, il paese è quello della celeberrima battaglia e crediamo che questa terra con Leonardo abbia non poche affinità elettive. Ci auguriamo con tutto il cuore di non vedere mai più in questo luogo quella “ciofega” (personalissima opinione, che comunque ci pare alquanto condivisa) che niente a a che vedere con Leonardo e che risponde al nome di ‘Tavola Doria’. Recentemente attribuita, più che correttamente, al Poppi (Francesco Morandini)… in Casentino deve stare! Al limite che le nostre istituzioni provvedano a riconsegnarla ai giapponesi e in cambio si facciano dare una superba erotica shunga

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Modigliani a Livorno e l’avventura di Montparnasse. Capire la mostra, conoscere i retroscena

Modigliani a Livorno e l’avventura di Montparnasse. Questo il titolo della tanto decantata mostra, che mi appresto a visitare, che la città di Livorno offre ad uno dei suoi figli, forse il più illustre. Sto arrivando da Firenze e, chissà perché, invece della superstrada (Fi-Pi-Li) imbocco l’autostrada in direzione Migliarino. Mi ritrovo a Bocca d’Arno senza un motivo. Fatico un po’ – c’è un porticciolo nuovo e bisogna fare il giro dell’oca – a trovare il piccolo bar alla foce in prossimità dei retoni da pesca.

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La testimonianza inedita di Maya Picasso su Modigliani e suo padre

La celebre figlia dell’artista ha scritto la nota – che oggi pubblichiamo – alle ore 18.00 del 31 maggio 2016. L’occasione la visita a casa sua di Christian Parisot. L’eminente studioso piemontese di nascita e parigino d’adozione l’aveva appena omaggiata della sua biografia di Modigliani (Fot.1).

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La figlia di Gigi Porco e le osterie dei macchiaioli. Alla ricerca del tempo perduto

Nella storia dell’arte ci sono i luoghi deputati e quel che voglio dire è facile da comprendere che è semplice intuire la valenza dell’Atene di Pericle, della Firenze del Quattrocento, della Roma di Caravaggio, della Parigi a cavallo tra Otto e Novecento. Luoghi deputati quindi cui vanno aggiunti i must o pietre miliari, segni imprescindibili, fari nel buio…

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Inedito. Dalla caverna dei tre filosofi si materializza l’autoritratto di Giorgione

Giorgione concepì i Tre filosofi non solo per una visione ravvicinata. Ma ne predispose il funzionamento espressivo, anche da un punto distante. Quella delle criptofigure che vengono alla luce, con massima messa a fuoco, a una decina di metri dal quadro è una nuova frontiera nell’ambito della storia della pittura del Cinquecento e del Seicento poichè offre nuovi strati da studiare, all’interno dei quali alcuni artisti inserivano, attraverso anamorfosi prospettiche o frontali, immagini visibili soltanto da un punto distante. O, ancora, immagini ambigue.

La scoperta sull’uso diffuso delle criptofigure nell’arte del Cinquecento e del Seicento e l’anticipazione di ciò che emerge da un dipinto di Giorgione è firmata da Maurizio Bernardelli Curuz, nell’ambito di un progetto molto ampio che lo vede fondatore di questa nuova branca della storia dell’arte, accanto al collega Roberto Manescalchi. Due i dipartimenti di ricerca, creati all’interno di Stile arte. L’indagine delle criptofigure leonardiane e della scuola toscana e centro-italica è coordinata da Manescalchi, mentre Bernardelli Curuz dirige le ricerche sui dipinti degli artisti lombardo- veneti ed emiliani. Le criptofigure non solo aprono nuove prospettive di lettura dei dipinti, ma contengono spesso autoritratti degli autori,  date, segni alfabetici e altri elementi preziosi che, fino ad oggi, non sono stati evidenziati  e che completano il significato dell’opera, fornendo importanti elementi di autografia. Le indagini sono state estese dai due studiosi anche alle cripto-figure o agli elementi di firma di pochi centimetri, che necessitano di una visione ravvicinata.

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Nella reggia di Sua Maestà Carlo Pepi, il cacciatore mondiale di falsi Modigliani

L’ho sempre saputo, da quando ho appreso che c’era, che mi sarei trovato di fronte un potentissimo maledetto vecchio e che avrei dovuto scrivere di lui, ma l’incontro era inevitabile. Gli interessi comuni l’hanno propiziato anche se ormai sono stanco e senza voglie. Ho una ragnatela di rughe intorno agli occhi che denunciano la presenza di una montagna di disincanto, ma la curiosità ancora c’è di salire oltre al collina per continuare a guardare sempre le stesse cose e un paesaggio che non muta mai. Guidavo in superstrada verso Livorno prima e le sue splendide case di Crespina poi. Non so dove sia nato più di ottanta anni fa Carlo Pepi, ma fosse pisano sarebbe l’unico che può entrare impunemente a Livorno come e quando vuole.

Ci sono uomini che con il tempo acquistano il potere della seduzione. Lo esercitano con facilità ed estrema disinvoltura a volte in modo che all’apparenza sembra del tutto inconsapevole. Attirano le donne e le opere d’arte in generale, come può fare una merda fresca con le mosche. Possono anche cozzare con i canoni della bellezza ed avere ben poco di apollineo eppure sono affascinanti e magnetici. Ecco… Carlo Pepi è uno di loro… affascinante e magnetico!

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